Marketing Consumer

Non è un prodotto anche questo?


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Quanto costano gli alberi?

Natale si avvicina, e come al solito si fa il giro di tutti i negozi dei negozi più interessanti per trovare qualcosa per le feste.

Ovviamente, essendo un periodo già stressante di suo, il Consumatore del Marketing non può che essere ancora più rompicoglioni nel vedere gli “errori” di comunicazione o di vendita.

Vado quindi da Maisons Du Monde, catena francese di arredamento e oggettistica per la casa molto raffinata e ricercata, presente in parecchi centri commerciali.

maisons logo

La sezione natalizia è particolarmente interessante, perché rispecchia lo stile della catena e quindi offre cose classiche sì (è pur sempre Natale), ma mai banali.

Soprattutto come sempre sono impeccabili gli allestimenti interni, su tutti un meraviglioso albero di Natale

Maisons du Monde Albero

L’albero era di ottima fattura, e messo sul tavolo con tutte le decorazioni sopra e sotto svettava ancora di più.

Poi abbasso lo sguardo e vedo questo cartello

noalberi

Ora, sicuramente io sono particolarmente attento ai dettagli, ma questo cartello mi ha fatto riflettere.

Perché per mettere un cartello di non vendita, vuol dire che sicuramente lo staff ha avuto parecchie richieste di acquisto.

Ma se hanno gente che chiede di comprare l’albero, cosa che effettivamente ci sta, visto che vendono di tutto, begli addobbi compresi: perché non venderglielo?

Mi è saltata subito agli occhi come una grande occasione mancata, tanto più che non ha una vera ragione di essere.
Stessimo parlando di un piccolo negozio che a Natale aggiunge gli addobbi, e che quindi ha poco magazzino per tenere delle cose comunque ingombranti come un albero finto.

Qui si tratta di un posto che vende tavoli, divani, intere camere, e che ha negozi di millemila metriquadri e magazzini altrettanto ampi. Uniti ad un servizio di consegna pronto a cose ben più ingombranti e, soprattutto, a clienti che comprano cose grandi (come è tipico per un negozio di mobili).

Non vedo proprio il motivo quindi per non vendere anche un albero, tanto più che la richiesta è tale da dover mettere un cartello per dissuadere il cliente.

E questa cosa non si fa mai. Soprattutto quando il consumatore ti offre qualcosa a cui tu non avevi pensato.

Non neghiamolo, quel cartello non lascia una buona impressione perché è comunque un rifiuto.
Cosa che nel marketing non si dovrebbe mai fare, e mai soprattutto farlo prima di una esplicita richiesta.

Sì perché mentre nel caso della scenetta

  • Scusi quanto costa l’albero?

  • Mi spiace, è solo in esposizione, non è in vendita.

Si scontenta solo il cliente che chiede, in questo caso si manda un messaggio negativo preventivo a tutti, che siano interessati agli alberi o no.

Comprendo che sia una scocciatura per i commessi, però vale la pena? Penso di no, e magari si può risolvere semplicemente vendendo anche gli alberi.

In fondo non si rifiuta mai chi ti vuole dare soldi. O no?


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Il consumatore non è fesso!

Fin dalla prima pubblicità ho notato qualcosa che non andava. Come se il messaggio proposto stridesse in qualche modo con l’immagine.

Rivedendo ora sempre più spesso lo spot, complice il caldo estivo e la spinta pubblicitaria verso cose rapidi e pronte con poco sforzo ho realizzato.

Lo spot di cui parlo, forse l’avrete capito visto che sta particolarmente martellando, è questo.

Dakota Aia

La salsiccia di Aia che viene impetuosamente presentata come pronta in due minuti.

Ma cosa c’è che non torna nell’immagine?

Esatto: il contorno! Perché sarà anche vero che la salsiccia si prepara in poco tempo, ma le patate al forno no!
Quelle vanno pelate, lavate, asciugate, tagliate e messe nel forno caldissimo (l’ideale con queste temperature infuocate).
Il tutto richiede più di mezz’ora, altro che due minuti ed è pronto!

Girando ho visto che non sono l’unico a notare questa cosa, visto che il blog Marketising ha segnalato l’incogruenza, che è stata poi ripresa dall’ottima pagina Facebook di UME Unidentified Marketing Events.

Loro parlano, dal lato degli addetti ai lavori, di advertising fail, visto che il messaggio che passa è contraddittorio e può inficiare l’efficacia della campagna.

Io, sempre dal lato del consumatore, dico che non sono fesso!

Mi piacciono le salsicce con le patate al forno, ma se le voglio in due minuti le prendo alla rosticceria sotto casa…  🙂


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Io non sono (d)efficiente!

Non so quanto ascoltiate la radio ma se lo fate con assiduità, e in particolare se ascoltate Radio24 (al momento forse i contenuti migliori dell’etere), non potete non averlo sentito.

È lo spot che vi da del defficiente. No, non ho sbagliato a scrivere ma dice proprio così.

“Ehi defficiente? Mi senti defficiente?
Sto parlando proprio con te defficiente che non sei altro!”

Dopo una serie di frasi così, dette con tono autoritario stile Sergente Hartman (ma senza parolacce), arriva il messaggio. Come avrete immaginato la d-efficienza di cui si parla è quella energetica, e il committente vuole farvi capire che usando i suoi prodotti spenderete di meno. Sarete finalmente efficienti (e non deficienti defficienti).

Di questa pubblicità se n’è parlato molto, anche su Radio24 ne ha parlato Gianluca Nicoletti a Melog (potete ascoltare il podcast qui).

Il problema qual è? Come detto in trasmissione da alcuni esperti e come visto dalle reazioni di gran parte del pubblico della radio, il mezzo scelto è stato completamente sbagliato da chi ha ideato la campagna.

Nessun fruitore di radio avrebbe mai pensato una cosa del genere. Perché chiunque ascolti la radio sa che è forse il medium più intimo per il suo utente. È quella che ci accompagna quando facciamo qualche altra cosa, che fa da sottofondo ad un azione (farsi la doccia, vestirsi, guidare, fare sport). Allo stesso tempo però influisce sulla nostra mente come se fosse una persona presente con noi mentre facciamo quella cosa. Come se stessimo in auto parlando con un amico, o a casa discutendo con un parente.

Fare uscire dall’altoparlante un insulto, all’improvviso e con quel tono, crea immediatamente un senso di rottura col medium, che provoca o lo spegnimento della radio, o il cambio di canale, o la perdita d’attenzione.

Io stesso avrò sentito decine di volte lo spot, eppure non ricordo il nome del prodotto, perché dopo gli insulti interrompo l’attenzione e non ascolto altro.

E non parliamo di provocazione, perché è vero che ne sto parlando anche io, ma questo non significa che ha raggiunto il suo scopo.
Lo scopo è raggiunto quando si fa girare il brand, come ha ricordato Oliviero Toscani proprio nella puntata di Melog linkata sopra.
Ma proprio Toscani, partito in tromba a difendere le pubblicità “politicamente scorrette”, fa marcia indietro quando capisce che magari in TV o sulla carta stampata poteva avere un senso. Perché, tanto per fare un paragone, lui faceva immagini su manifesti con il logo del brand in bella vista. E le immagini “provocatorie” venivano appunto riprese da tutti.

Ovvero: medium perfetto + creatività e provocazione perfette = risultato garantito.

Ma in radio no, in radio stai solo offendendo i tuoi potenziali clienti. E questo non mi sembra proprio un buon modo per fare spot.

Ci sarebbe qualcosa da dire anche sul committente, sempre intervistato da Nicoletti, però non vorrei mettere troppa carne al fuoco.
Ne riparleremo sicuramente quando analizzeremo un altro errore di questo tipo. Perché ce ne saranno in quantità.

Federico

P.S. La pubblicità per ora è stata sospesa, quindi forse un po’ di problemi di ritorno li ha avuti. Secondo il committente dovrebbe però riprendere, magari in altre forme. Vedremo.

P.P..S. No, il titolo è corretto e non è provocatorio: io ho tutte lampadine a risparmio energetico. Ma non di quella marca.